17 novembre – Ci rubano il futuro? Occupiamo il presente


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Testo del volantino

CI RUBANO IL FUTURO
OCCUPIAMO IL PRESENTE

La Giornata degli Studenti nasce in ricordo della violenta repressione che la dittatura militare greca lanciò contro gli studenti barricati nel Politecnico di Atene, per protestare contro il regime. Ma questa importante data ha anche un altro valore per gli studenti: proprio in questo giorno, nel 1939, 1200 studenti cecoslovacchi che si opponevano alla guerra vennero trucidati dai nazisti.

Noi non dimentichiamo. E nel ricordo di quei compagni e compagne vogliamo essere in piazza per rivendicare quanto ci spetta. Continue reading

[15 ottobre] Una svolta mancata

I fatti del 15 ottobre sono già preda dei media di regime e dei politicanti in cerca di una poltrona. Eravamo a Roma e vogliamo darvi la nostra versione dei fatti e qualche considerazione sparsa su quanto accaduto e non-accaduto. Premettiamo che non riteniamo facile un giudizio sul bilancio di questa giornata, poichè troppe cose ancora ci sfuggono e altre ci risultano non del tutto chiare.

Graffito "Le monde est nous"

Una pratica come quella di ieri non è sbagliata in sé. Ci riferiamo principalmente allo scontro diretto e alla pratica “violenta”, mentre non abbiamo apprezzato la distruzione delle macchine (eccezion fatta per i SUV, oggettoni inquinanti che ci piacciono solo quando bruciano), né la distruzione della Madonna di gesso, fuori luogo nel contesto anticapitalista di ieri. Non sbagliata in sé, dicevamo, questa pratica, questo modo d’agire… ma perchè a Piazza San Giovanni? Perchè non puntare dritti verso Montecitorio e ingaggiare lì, casomai, guerriglia?

Non sappiamo bene cosa sia accaduto, perchè una certa tattica non sia stata messa in pratica nonostante l’organizzazione. Le ipotesi sono infinite, ma siamo convinti di un fatto: se riot deve essere, sia riot serio, o ci si aspetta forse uno Stato docile che lasci scassare quel che si vuole, a patto che resti dove gli fa comodo? Quando questo accade, ci sorgono sempre dei dubbi sulla genuinità dello scontro.

Non fraintendete. È assurda la teoria dei 100/200/dite-voi-un-numero infiltrati, è impensabile che tutti i manifestanti del riot fossero digossini, fasci o vattelappescà. Questa è roba buona per cigiellini impuntati e ex-disobbedienti (sottolineamo l’ex, abbiamo sentito commenti molto più ponderati e interessanti sui fatti di ieri da parte di alcuni compagni disobbedienti che da certa autonomia). La verità è che ieri c’erano tante individualità con ottimi motivi per ingaggiare una battaglia, ma hanno sbagliato obiettivo e luogo dello scontro. Se tutto quanto accaduto fosse scoppiato in altro luogo, appunto quello di cui si parlava prima (la via per Montecitorio), la reazione del corteo più grande sarebbe stata diversa. E non è detto che qualcuno degli indignati, magari sprovvisto di casco ma in giacca e cravatta, non avrebbe provato ad accodarsi.

Ripetiamo anche una constatazione già espressa riguardo i fatti del 14 dicembre: questa faccenda della singola giornata di lotte lascia un po’ con l’amaro in bocca. Se una pratica simile può essere utile, deve essere portata avanti per giorni. Ma è pur vero che in un posto come la Grecia, quando scoppiano i riot, o nel fu Egitto delle rivolte contro Mubarak, c’è un Paese bloccato da scioperi generali che a volte durano 48 ore…

Magnatev' o padròn'

In caso di languorino, mangiare il padrone

Per quanto riguarda lo sfasciare vetrine delle banche: beh, non cambieranno certo l’ordine delle cose, di sicuro le direttive di Draghi non verranno ritirate perchè due-tre persone hanno sfondato un vetro, però a questo punto dovremmo criticare qualsiasi atto simbolico, compresa l’occupazione delle banche, breve o prolungata che sia. Il che forse non sarebbe negativo, visto che di atto simbolico in atto simbolico non riusciamo ancora a produrre un atto concreto, che metta del tutto in crisi lo stato di cose vigente.

La speranza è che dalla giornata di ieri non se ne esca come 10 anni fa dal G8 di Genova. Al tempo non c’eravamo, troppo piccoli per capire cosa stesse accadendo, ma testimonianze e discussioni (molte delle quali carpite al decennale commemorativo) ci hanno fatto intendere che in quelle giornate il movimento altermondialista, nelle sue varie declinazioni, veniva accantonato e si chiudeva una stagione di lotte. Noi non troviamo contraddizioni in chi partecipa ai riots e contemporaneamente si considera parte di questo grande ed eterogeneo movimento anticapitalista… Auguriamoci che nei prossimi giorni, in barba alle bestalità e all’oscuramento dei media, possa determinarsi un continuum delle lotte contro le banche e il debito, per l’autorganizzazione.

Verso il 15 ottobre – Prendetevi la strada!

Toma la Calle 15/10/11

Il 15 Ottobre, Roma e tutto il mondo saranno invasi da innumerevoli realtà, tutte accomunate dal disprezzo per un sistema che sfrutta lavoratori, studenti e disoccupati. Realtà che non possono accettare le misure di austerity che i governi mondiali vogliono fargli pagare. Realtà che faranno tremare questo potere!

FACCIAMO SENTIRE AI PADRONI IL FIATO SUL COLLO, ASSEDIAMO I LORO PALAZZI E RICONQUISTIAMO I NOSTRI DIRITTI!

Sabato 15 Ottobre non sarà solo l’Italia, ma tutto il mondo a spiegare ai padroni che non saremo noi a pagare la loro crisi!

Sabato sarà un giorno fondamentale di lotta internazionale. UNIAMO LE LOTTE!!!

Parti con noi sabato, ore 9:00, piazza Garibaldi (Napoli).

Biglietti a 5 euro (con il CAU).

SCENDIAMO PER LE STRADE E LOTTIAMO!

 

La Strada  (a la calle)

Maria Sveglia Gelmini e il nostro Cile

¿Cómo es posible pretender mejorar la educación cuando todavía prevalece la libertad de empresa por sobre el derecho a la educación? [Camila Vallejo]

Napoli, corteo 7 ottobre 2011

Il 7 ottobre napoletano...

La giornata di lotta del 7 ottobre, che ha visto più di 90 piazze italiane assediate da studenti e lavoratori, ha dimostrato una volta di più che anche in Italia c’è  grande determinazione a combattere la crisi dal basso e rabbia, tanta rabbia. Più che indignados, siamo incazzados (il Fatto Quotidiano ha parlato di “schifados”). Devono averlo capito anche quelli del Ministero dell’Istruzione se la signora ministro Maria Stella Gelmini si è detta <<pronta ad ascoltare i ragazzi>> [la Repubblica, 9 ottobre 2011].  Ehi! La Gelmini si accorge dell’esistenza di rivendicazioni studentesche dopo 3 anni di lotta e contestazione ininterrotta, con ovvi picchi nei mesi di ottobre e novembre. La Gelmini si accorge anche che le sue “riforme” non sono nient’altro che una sfilza di tagli all’istruzione – e dire che lei per prima ha sempre sostenuto il valore di queste scelte!

Maria Sveglia Gelmini dimostra di aver capito poco la protesta di questi anni, o almeno di aver “dato ascolto” soltanto a quelle frange più esplicitamente corporative alle quali andrebbe benissimo un ritorno al modello consueto di università. <<Difendendo lo status quo scolastico i ragazzi difendono una politica egoistica>> – la signora ministro ha ragionissima. Il problema è che una larghissima parte del movimento NON intende combattere la riforma Gelmini per riportare tutto a com’era prima. Al contrario, la proposta di un diverso tipo di organizzazione scolastica è arrivato a un punto tale che ha reso necessario un ripensamento della società tutta, contribuendo alla messa in discussione del modello economico, politico e sociale al quale questa prima fase della globalizzazione (e il capitalismo nella sua storia) ci ha abituati.

Tra l’altro non è molto difficile avere dubbi sulle buone intenzioni della signora ministro, e spieghiamo perché. Quando abbiamo saputo della volontà di ascoltare gi studenti, ci è subito venuto in mente il Plan salvemos el año escolar di marca piñeriana. Il governo cileno, nel tentativo di piegare una protesta che ha ormai assunto posizioni radicali e dimensioni eccezionali, ha tentato di negoziare le rivendicazioni del movimento studentesco a un “tavolo di dialogo”, promettendo contemporaneamente espulsioni e allontanamenti coatti dalle scuole agli studenti in mobilitazione. I compagni cileni hanno sabotato questo palese intento di pacificare un momento di conflitto che acquista sempre più consenso da parte di vasti strati della popolazione. Alle manifestazioni non è difficile trovare operai e studentesse, professoresse e infermieri, precari e pensionate. E i cortei cileni, lo ricordiamo, devono fronteggiare una repressione degna del regime di Pinochet.

Cile, corteo 6 ottobre 2011

...e il 6 ottobre cileno

Che tra Cile e Italia ci sia più di un presidente liberista impomatato in comune non è soltanto una nostra impressione. Camila Vallejo, una delle rappresentanti più combattive del movimento studentesco cileno, si esprime così su quanto sta accadendo in questi mesi in Europa: Rispetto la loro lotta, poiché si vede sin da qui che è una lotta contro gli effetti di una crisi economica in cui pochi chiedono ai settori più vulnerabili della comunità di pagare. Credo che ci siano due elementi in comune: da un lato la critica alle istituzioni politiche e alle elites che le controllano, dall’altro l’uso delle reti sociali come spazi per la diffusione delle idee del movimento e per organizzare la mobilitazione [da un’intervista a cura di Acmos.net]. Istituzioni politiche che, aggiungiamo noi, condividono precisi progetti di privatizzazione e di smantellamento della spesa sociale. Per quanto riguarda il secondo punto che la compagna Vallejo rileva, non possiamo che concordare: stiamo assistendo ad un fare-movimento che non solo si organizza e si diffonde tramite il Web, ma anche e soprattutto al costituirsi di una rete globale di movimento nella quale è possibile trovarsi e scambiarsi pratiche ed opinioni con attivisti cileni, greci, islandesi, tunisini e chi più ne ha, più ne metta.

Facciamo come in Cile!, andiamo dicendo da qualche tempo a questa parte. Riteniamo fondamentale continuare la mobilitazione studentesca su questa linea, coinvolgendo quante più categorie di sfruttati possibile e evitando di impigliarsi nella rete dei tavoli di discussione calati dall’alto da ministeri e governo. Non abbiamo un passato da difendere, abbiamo un mondo da prenderci! Verso il 15 ottobre!

Riappropriamoci degli spazi! – Introduzione all’autogestione

Riappropriamoci degli spazi/ Riappropriamoci di ciò che è nostro/ Riappropriamoci della nostra vita, non lasciamola scorrere così! [99 Posse, Ripetutamente]

Ci riteniamo abbastanza fuori moda per tornare a proporre una delle pratiche storiche del movimento operaio, estesa nel tempo anche ad altri ambiti, come quello dei servizi o, appunto, quello scolastico. Stiamo parlando dell’autogestione, parolina composta che ha costituito motivo di timore e isteria per generazioni di padroni di fabbrica e baroni poco rampanti delle università.

La pratica dell’autogestione mette immediatamente alla prova dei fatti la capacità di organizzarsi collettivamente e dal basso. Nell’autogestione, c’è spazio per la libera espressione di tutti, a patto che ognuno contribuisca, a seconda delle sue capacità e possibilità, al benessere collettivo: e così, volendo immaginare una scuola già nel vivo della pratica di riappropriazione dello spazio, chi si reputa un buon lavapiatti potrà dare un mano in cucina al cuoco e al cameriere. Ma l’autogestione ripudia l’autorità e scardina l’alienazione del posto fisso, e chi, stufo di lavare piatti, volesse provare quell’esperienza divertentissima e creativa (non che socialmente utile) che è il cucinare, deve essere lasciato libero di provare, e quant’anche supportato nel suo fare-esperienza.

Autogestione non vuol dire “mantenimento dell’apparato scolastico e del sistema ad esso connesso”. Al contrario, con l’autogestione l’istituzione si trasforma in spazio sociale liberato dal carattere autoritario-repressivo che la contraddistingue. Un’autogestione che non cambia di una virgola le pratiche scolastiche, ma le edulcora con una presunta partecipazione studentesca, è un aborto bello e buono.

Purtroppo, è una triste consuetudine dell’occupazione quella di essere manovrata ed egemonizzata dai paladini del compromesso. Chi scrive ha vissuto un’occupazione vergognosamente contrattata con la Digos, il cui questore suggellò un patto d’acciaio col rappresentante fascista del liceo. È stata una lezione: pertanto liquidiamo subito l’argomento “destra” dicendo che sarebbe meglio allontanare ancor prima della mobilitazione i fasci, indipendentemente dal loro essere ribbelli o di partito.

I politicanti di (centro)sinistScuola autogestitara sostengono le occupazioni solo finché l’autogestione coincide con la gestione dello spazio da parte del collettivo di turno. Per queste avanguardie in mutande, di volta in volta amiche del sindacato concertativo o “di lotta” di turno, una scuola gestita dalla collettività degli studenti è un incubo. L’unico modo per combattere questa deriva elitaria è la salda unità degli studenti in agitazione: quattro – cinque stalinisti ripuliti non possono nulla di fronte a 500 individui auto-organizzati e determinati a riprendersi uno spazio…

Quella dell’autogestione è una storia nobile seppur piena di sconfitte, di cui torneremo a parlare prossimamente. Per ora, rilanciamo con forza questo mezzo che ha come fine la sua stessa esistenza. Qualche anno fa un gruppo di intellettuali francesi, riprendendo il motto degli operai russi del 1917, ha proposto di consegnare <<tutto il potere alle Comuni>> [Comitato Invisibile, L’insurrezione che viene]… rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a costruire questo progetto.