L’Ungheria NON è la via

Bandiera ungherese
L’Ungheria come nuovo baluardo della resistenza alla crisi globale? Ma anche no!

Organizzazioni di destra, cospirazionisti e cattolici ultraconservatori si stanno prodigando per dipingere il governo di Viktor Orban come l’esempio da seguire per sfuggire alla morsa del Fondo Monetario e della Banca Centrale Europea.

Il Parlamento ungherese ha approvato una nuova Costituzione fortemente identitaria e autoritaria e il partito al potere, Fidesz, di centro-destra, fa sempre più sue le posizioni dello Jobbik neofascista. Ma cosa si nasconde dietro a questa “nuova Ungheria”?

Si nasconde un nazionalismo tradizionalista che ha significativamente eliminato la parola Repubblica dal nome dello Stato, ora semplicemente Ungheria.
Si nasconde una violenta ondata di razzismo, che porta le minoranze ad essere considerate come “altre nazionalità” e ad eliminare i già pochi diritti della comunità Rom, particolarmente perseguitata da opinione pubblica, populisti e aggressori fascisti[1].
Si nasconde una legalizzazione delle organizzazioni paramilitari con un articolo sulla legittimità della violenza “a scopi politici” (ovviamente quelli che fanno comodo al Governo, pensate che un Governo possa tollerare attacchi anarchici?); le organizzazioni paramilitari, per la cronaca, sono il braccio armato dello Jobbik.
Si nasconde un rigurgito di identitarismo cristiano – Dio e il cristianesimo sono gli elementi unificanti della nazione – che ha già reso illegale l’aborto e che sbarra del tutto la strada ai matrimoni gay. Sul Web potete trovare articoli molto ampi e dettagliati sulla situazione dei diritti civili nell’attuale Ungheria: qui vogliamo provare ad analizzare le istanze economiche e sociali del nuovo (?) corso ungherese. Continue reading

El pueblo instruido (jamas serà vencido)

Luchar para estudiar, estudiar para luchar. [da uno striscione studentesco cileno]

Il Cile vive da tempo una situazione di fermento politico e sociale. La mobilitazione studentesca si unisce ad altre situazioni di protesta, come quella degli indigeni mapuche che da anni subiscono continui soprusi e si vedono privati delle loro terre, militarizzate e consegnate al grande capitale. C’è un motivo ben preciso se in Cile le questioni sociali hanno portato a continui scioperi della fame (forma di protesta adottata sia dai mapuche che dagli studenti), cortei e manifestazioni di proporzioni incredibili e, non ultima, ad una ripresa del movimento anarchico. Questo motivo è la contraddizione di fondo che caratterizza lo Stato cileno: nonostante abbia il prodotto pro-capite più alto del Sud America, è anche il Paese in cui è più netto il divario tra una minoranza agiatissima ed una maggioranza della popolazione costretta a tirare la cinghia.

Ma ad aggravare la situazione si è impegnato, negli ultimi anni, Sebastian Piñera, attuale presidente del Cile, imprenditore e sanguisuga sociale. A Sebastian Piñera va il grande merito di aver svelato il vero volto del capitalismo dei nostri tempi. Piñera, degno fratello di quel Josè della Scuola di Chicago (per intenderci, l’uomo dietro le privatizzazioni del regime), ha avviato un ciclo di liberalizzazioni coatte sotto il segno del “realismo”: Niente è gratuito nella vita. Privatizzazione selvaggia della scuola pubblica; privatizzazione di alcune industrie come la Codelco, industria del rame a suo tempo nazionalizzata da Salvador Allende; intenzione di privatizzare il servizio idrico… La ricetta “lacrime e sangue” è la stessa in tutto il mondo, e non è forse un caso che questo Pinochet in sedicesimo abbia come modelli Reagan e Berlusconi.

Studenti cileni in lotta

La reazione degli studenti non si è fatta attendere, e ormai da maggio sono in mobilitazione permanente. Centinaia gli arrestati nelle ultime settimane di scontri con la polizia, degnamente tornata ai livelli di brutalità degli anni della dittatura. Un ragazzino di 14 anni, Manuel Gutiérrez Reinoso, è stato freddato dalle forze dell’ordine durante uno sciopero in sostegno agli studenti proclamato dalla Confederaciòn General de Trabajadores.

La lotta degli studenti cileni è la nostra lotta. Una delle piattaforme che circolano sul Web, l’Acuerdo Social por la Educación Chilena, è più che chiara sugli obiettivi da raggiungere. Il sistema scolastico deve essere [riprendiamo questi punti, ai quali abbiamo aggiunto alcune nostre considerazioni, dal testo dell’Acuerdo come riportato su Anarkismo.net]:

  • autonomo e democratico, in modo da salvaguardarsi dalle ingerenze politiche, religiose ed economiche, e organizzato in modo da incoraggiare l’auto-organizzazione nei campi dell’amministrazione e dell’insegnamento. Ovviamente ciò richiede strutture interne più democratiche nelle quali siano garantiti il diritto di partecipazione e la libertà di associazione… e chi sta osservando la lenta espansione del modello Marchionne ha già capito che questi fondamentali diritti sono in pericolo, anche nella scuola;
  • pluralistico, in modo da garantire accesso pubblico e gratuito a fonti d’informazione e conoscenza che permettano agli studenti di affrontare criticamente gli argomenti. La trasmissione della conoscenza deve opporsi a qualunque dogmatismo o pratica d’indottrinamento proveniente dall’esterno;
  • di alta qualità, nel senso che l’educazione deve effettivamente educare, dunque essere uno strumento di solidarietà, tolleranza, uguaglianza, rispetto per le identità e le culture della società e dei nativi (in Cile vi sono diverse comunità indigene, come i già citati mapuche). Non ci stancheremo mai di ripetere che non serve a nulla una scuola, pubblica o privata che sia, nella quale si sezionano libri come fossero cadaveri, senza che la cultura si faccia strumento di critica e cambiamento;
  • capace di formare individui: professionisti, tecnici, intellettuali con capacità critica ed un’etica, uomini liberi preparati all’esercizio della democrazia e socialmente responsabili;
  • gratuita, nel senso che lo Stato deve provvedere alle risorse necessarie per garantire del tutto questo diritto, senza che intervengano restrizioni socio – economiche. La parola d’ordine Università pubblica da sola non basta, dobbiamo chiedere una scuola gratuita!

Sono tutti punti che si contrappongono al progetto di scuola che le destre di mezzo mondo  stanno cercando di costruire. Proprio per questo devono diventare i punti dell’imminente mobilitazione italiana, che dovrà vedere studenti, lavoratori e precari uniti per fronteggiare una manovra anche più rigida di quella piñerana.