Eravamo a Genova, la settimana scorsa, con migliaia di compagni per ricordare quei tre giorni d’inferno del 2001 che resteranno nella storia come la grande rivelazione del vero volto dello Stato post-moderno. Eravamo a Genova per ricordare Carlo Giuliani, non un eroe né un simbolo, ma un ragazzo che preferì scendere in piazza con chi chiedeva un altro mondo possibile al posto di andare al mare; e per ricordare, con Carlo, chi in quei giorni venne picchiato, manganellato, massacrato di botte, torturato, internato, messo a tacere con metodi non proprio democratici. In quei giorni il movimento dei movimenti fu costretto a fermarsi, e solo con grande fatica, tra un contro-vertice di Porto Alegre e uno di Johannesburg, è riuscito a rialzarsi. Abbiamo voluto ricordare quei giorni con mostre fotografiche e assemblee, come quella, partecipatissima, descritta più avanti;ma soprattutto, con cortei e fiaccolate che hanno attraversato Genova con rabbia e volontà di mettersi in gioco, in azione, in movimento. Ripartiamo insieme da Genova, uniti contro la crisi, per un’alternativa al sistema liberal-capitalista e al pensiero unico.
L’assemblea del 22, un po’ il cuore analitico e programmatico della 3 giorni genovese, si è articolata principalmente in una serie di interventi volti principalmente a rilanciare le parole d’ordine del movimento altermondialista. Uno è il concetto sul quale occorre focalizzare l’attenzione ed ingaggiare una battaglia per l’egemonia culturale: è il concetto di beni comuni. Francesco Raparelli ha fatto notare come questo processo di egemonizzazione sia già in atto da qualche tempo: ne è la prova lampante l’esito felice del referendum di giugno, che ha visto mobilitarsi non solo alle urne, ma anche nelle pratiche di propaganda e discussione, centinaia di migliaia di persone. Bisogna continuare su questa strada, costruendo e difendendo il comune determinato dalle lotte e dalle resistenze dal basso. Forse potremmo notare che, se dieci anni fa la priorità era la costruzione immediata di un contro-Impero, ora si cerca in primis il Comune, al quale si ricollegano i comitati napoletani per un piano alternativo dei rifiuti e gli attivisti pro-acqua pubblica, il movimento No-Tav (vera “stella” di questo appuntamento) e quello universitario. Sfaccettature fortunatamente molteplici, anche se riferibili alla sola Italia. Ecco, forse dal decennale del più cruento dei G8 ci si sarebbe aspettati una maggiore partecipazione internazionale; ma l’appuntamento da segnare sull’agenda è il Summit del 2013 in Maghreb, dove di certo la partecipazione mondiale non sarà trascurabile. Noi ovviamente ci saremo.
Tuttavia, ciò che ci resterà nel cuore è la bellissima Genova finalmente restituita ai movimenti, agli attivisti dei più disparati collettivi, ritrovatisi lì dove il Potere tentò di archiviare definitivamente un sogno. Strade e creuze nelle quali perdersi senza mai smarrirsi, grazie al continuo incrociare magliette con sopra stampati gli slogan di queste giornate, alla costante presenza di compagni ai quali aggregarsi, o di semplici cittadini che attendevano questa piccola forma di giustizia (siccome quella ufficiale è servita a molto poco) per la loro città. C’è una scena che chi scrive non potrà mai dimenticare: la sera del 23, dopo il grande corteo che ha visto più di 30.000 persone provenienti da tutto il Paese, una piazza intera a baciarsi, ridere e cantare con Alessio Lega gli Stornelli dell’esilio.
Aqui estamos.