L’Ungheria come nuovo baluardo della resistenza alla crisi globale? Ma anche no!
Organizzazioni di destra, cospirazionisti e cattolici ultraconservatori si stanno prodigando per dipingere il governo di Viktor Orban come l’esempio da seguire per sfuggire alla morsa del Fondo Monetario e della Banca Centrale Europea.
Il Parlamento ungherese ha approvato una nuova Costituzione fortemente identitaria e autoritaria e il partito al potere, Fidesz, di centro-destra, fa sempre più sue le posizioni dello Jobbik neofascista. Ma cosa si nasconde dietro a questa “nuova Ungheria”?
Si nasconde un nazionalismo tradizionalista che ha significativamente eliminato la parola Repubblica dal nome dello Stato, ora semplicemente Ungheria.
Si nasconde una violenta ondata di razzismo, che porta le minoranze ad essere considerate come “altre nazionalità” e ad eliminare i già pochi diritti della comunità Rom, particolarmente perseguitata da opinione pubblica, populisti e aggressori fascisti[1].
Si nasconde una legalizzazione delle organizzazioni paramilitari con un articolo sulla legittimità della violenza “a scopi politici” (ovviamente quelli che fanno comodo al Governo, pensate che un Governo possa tollerare attacchi anarchici?); le organizzazioni paramilitari, per la cronaca, sono il braccio armato dello Jobbik.
Si nasconde un rigurgito di identitarismo cristiano – Dio e il cristianesimo sono gli elementi unificanti della nazione – che ha già reso illegale l’aborto e che sbarra del tutto la strada ai matrimoni gay. Sul Web potete trovare articoli molto ampi e dettagliati sulla situazione dei diritti civili nell’attuale Ungheria: qui vogliamo provare ad analizzare le istanze economiche e sociali del nuovo (?) corso ungherese.
Ha fatto tanto parlare di sé la presunta nazionalizzazione della banca ungherese prevista in un articolo della nuova Costituzione. Una manovra a prima vista sociale, addirittura contemplata nel Manifesto del partito comunista! Ne abbiamo discusso con compagni di diverse tendenze per lungo tempo. Nazionalizzare una banca non vuol dire automaticamente redistribuire la ricchezza. Può anche significare, come significa in questo caso, controllare e gestie in pochi i soldi dei contribuenti, giustificandosi col fatto che questi “pochi” sono più affidabili perchè cantano lo stesso inno dei contribuenti. In questi giorni, comunque, il prode Orban è tornato nei ranghi. Il ministro degli Esteri Martonyi ha dichiarato all’agenzia Reuters che “rispettiamo in pieno l’autorità della Commissione Europea, il guardiano dei trattati dell’UE. Ci teniamo pronti a considerare una modificazione delle leggi, se occorre” [2].
La nuova Costituzione sancisce che “il lavoro è un dovere“. Chi ha seguito i referendum di Pomigliano e di Mirafiori ricorderà la parola d’ordine dei sindacati di base e della FIOM, per i quali “il lavoro è un diritto“. Dire che il lavoro è un dovere equivale a rendere il lavoratore uno schiavo (vedi sotto). Anche l’Ungheria conosce grandi difficoltà nel mondo del lavoro. Per mantenere però il controllo della situazione si evita la sindacalizzazione e si divide il corpus dei lavoratori. Leggiamo da un documento del Partito Comunista Ungherese dei Lavoratori le manovre operate dal governo del Fidesz:
Ha deciso di prevenire l’esplosione sociale con metodi diversi. Primo, ha introdotto un nuovo Codice del Lavoro che dà vasti diritti ai proprietari capitalisti e praticamente trasforma i lavoratori in schiavi. Secondo ha diviso la classe operaia concedendo aumenti consistenti ai ferrovieri e alzando il salario minimo. Terzo, ha concluso un accordo con le principali confederazioni sindacali. Ha potuto salvare i propri privilegi e allo stesso tempo limitare gli effetti di una autentica lotta di classe.[3]
Inoltre, il Fidesz si è impegnato a distruggere il sistema dei sussidi di disoccupazione, a ridurre le pensioni e a demolire il sistema sanitario pubblico, dando una spinta alla privatizzazione della salute.[4] Con l’articolo XIX il sostegno sociale concesso dallo Stato dipende direttamente dall’utilità che l’attività svolta dal soggetto beneficiario ha per la comunità. Pensate all’automatica discriminazione a cui sarebbero soggetti disoccupati e minoranze… Tutte manovre che non potranno che soddisfare la “nemica” UE.
E le tasse? La legislazione ungherese prevede ora uguali tasse per ricchi e meno ricchi. Logica conclusione di un discorso anticlassista: non esistono differenze, siamo tutti fieri ungheresi, quindi paghiamo tutti allo stesso modo. L’apoteosi del nazionalismo, insomma. Quando le classi diventano inconsapevoli di sé convivendo per un presunto bene comune, il capitalismo vince.[5] L’esperimento ungherese è il perfetto esempio di una uscita (?) a destra dalla crisi: tutti uniti per la Patria, dal ricco imprenditore al morto di fame, e tanti cari saluti al fatto che uno sfruttato non può avere nulla a che fare con uno sfruttatore.
La vicenda ungherese parla chiaro. La soluzione non è il ritorno all’economia nazionale, non è l’autarchia che sotto la maschera della crociata contro l’usurocrazia della Banca Centrale Europea e del FMI garantisce maggiori sicurezze e spazi d’azione ai capitalisti “patriottici”. Allo stesso tempo la soluzione non è certamente la democrazia delle banche che porta la firma della troika (BCE – UE – FMI). Ciò che non si dice, e che di sicuro un partito come il Fidesz non dirà mai, è che il problema non è la crisi… il problema è il capitalismo.
Ricomporre il tessuto di classe, lottare con i soggetti sociali e i movimenti e trovare punti di contatto con le altre lotte dal basso a livello internazionale. Questa è la sola via possibile.
[1] Barikàd Kollektìva, Altro che lotte proletarie… – Consigliamo la lettura dell’analisi in quanto curata da una realtà di conflitto attiva in Ungheria ⇑
[2] MegaChip.info, L’Ungheria si piega, pronta a cambiare le sue leggi per ottenere il bailout europeo ⇑
[3] Marx XXI, Cosa sta accadendo in Ungheria? Cosa ne pensano i comunisti ungheresi ⇑
[4] Umanità Nova, Ungheria: tra l’incudine e il martello ⇑
[5] M. Tronti, Noi operaisti, DeriveApprodi 2009: “Una società divisa in classi politicamente rese inconsapevoli di sé e che quindi convivono producendo e consumando in vista dell’unico bene comune, è l’utopia realizzata del capitalismo.” ⇑