Un anno fa eravamo davanti al consolato tunisino per esprimere la nostra solidarietà al popolo tunisino in lotta. Oggi siamo tornati a guardare al di là del mare, esprimendo la nostra solidarietà al popolo egiziano a un anno dalla grande rivolta che ha deposto Mubarak. Un presidio solare, come la bella giornata che ci ha visto a Piazza Garibaldi per ricordare a passanti e curiosi che in Egitto si continua a combattere per un futuro migliore, per una vita più dignitosa e per un mondo libero dall’autoritarismo di dittatori, eserciti e capitalisti. Il presidio è stato organizzato da realtà antirazziste e dalla comunità egiziana di Napoli.
È passato già un anno dai fatti di Piazza Tahrir. Da allora le cose si sono complicate. Un compagno egiziano ha addirittura detto che la situazione è peggiorata, visto che il nuovo regime continua a massacrare i manifestanti e nello stesso tempo prende in giro la popolazione. Un compagno ha aggiunto che il popolo egiziano chiede giustizia sociale, pace e vera democrazia, e non la consegna del Paese ai Fratelli Musulmani. In effetti, i militari al potere si sono rivelati i perfetti prosecutori del modello Mubarak. Da sempre vicini al governo, si sono saputi riciclare come forza di transizione verso la democrazia. Ma l’illusione non è durata a lungo: il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) ha imposto, come sostituto di Essam Sharaf, Kamal el-Ganzouri, personaggio della cricca di Mubarak e evidentemente in ottimi rapporti col maresciallo Tantawi.[1]
I militari hanno represso duramente gli scioperi dei lavoratori egiziani e i tanti cortei organizzato al Cairo. “L’ultimo pilastro dello Stato” (secondo la definizione di Mamdouh Shahin, portavoce del Consiglio militare) non ha esitato a sparare sulla folla. A sostenere politicamente l’esercito sono intervenuti i Fratelli Musulmani, che sono sembrati fin dall’inizio delle proteste piuttosto affiatati con il CSFA. Parla chiaro un recente comunicato del Movimento Socialista Libertario:
I Fratelli Musulmani hanno anche assunto un atteggiamento aggressivo contro i lavoratori impegnati in continue lotte contro gli imprenditori, i quali trovano appoggio nella giunta militare. Hanno sempre condannato i cortei sindacali, i sit-in o le occupazioni, descrivendo i lavoratori che lottano per i loro diritti come dei contro-rivoluzionari sobillati dai seguaci del regime di Mubarak. [2]
Bisogna dire che l’ala giovanile dei Fratelli Musulmani ha avuto e ha tuttora un atteggiamento molto diverso da quello della dirigenza. In un’intervista ad Ali Mustafa, l’attivista socialista rivoluzionario Hossam el-Hamalawy descrive così queste nuove leve del partito Freedom and Justice:
[…]La loro ala giovanile ha partecipato alle manifestazioni dal primo giorno, o almeno un settore di essi, e il loro comportamento a Tahrir e nelle altre piazze non è stato diverso da oggi. Hanno avuto un comportamento eroico negli scontri con la polizia, e nella difesa della piazza, e hanno avuto molti martiri. La leadership invece ha sempre cercato il compromesso, durante tutti i 18 giorni. Dall’11 febbraio, con la caduta di Mubarak, la loro leadership non ha appoggiato nessuna delle manifestazioni di protesta che si sono susseguite, a parte tre: quella che festeggiava la caduta di Mubarak, dopo una settimana; quella del 29 luglio e quest’ultima il 18 novembre. Queste sono state le uniche tre manifestazioni di massa che i FM hanno appoggiato. Ma i giovani hanno preso parte alle nostre proteste, e c’è gente che, delusa, dà le dimissioni. Così, anche se la leadership è conservatrice e a volte anche controrivoluzionaria, i loro giovani sono diversi. E, e questa è una cosa su cui io e altri della sinistra laica siamo pronti a scommettere, con il procedere della radicalizzazione, ci saranno altre spaccature all’interno dei FM e di altri gruppi religiosi.[3]
La rivoluzione egiziana è e vuole essere una rivoluzione dei giovani. Le parole dei compagni intervenuti al presidio lo hanno detto e sottolineato.
L’Egitto e la Tunisia ci hanno dimostrato che la storia non è finita affatto, e che è ancora possibile cambiare il corso degli eventi. Non ci importa quali siano state le conseguenze immediate della primavera araba, i movimenti del Maghreb hanno dimostrato che è ancora possibile mettere in crisi il Capitale e lo Stato, abbattere i poteri forti, dare voce attiva al popolo. Certo, il prezzo è molto alto. Si parla di migliaia di feriti, decine di morti. Dal canto nostro, noi saremo sempre pronti a sostenere tutte le rivolte e le manifestazioni decise a creare un mondo più giusto, partecipando da una prospettiva anticapitalista e il più possibile antiautoritaria ai movimenti di contestazione e protesta.
[1]Ritorno a Piazza Tahrir, da Umanità Nova ⇑
[2] Anarchici e socialisti rivoluzionari sotto attacco in Egitto, da Anarkismo.net ⇑
[3] Intervista a Hossam el-Hamalawy di Ali Mustafa, traduzione a cura del Collettivo Autorganizzato Universitario ⇑